venerdì 19 aprile 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

CHI ERANO I PIRATI?

Quando si scrivono libri di divulgazione capita, a volte, di dover sfatare alcuni miti. É esattamente quello che fa l’autrice russa Ekaterina Stepanenko, tradotta da Tatiana Pepe per i tipi di Caissa Italia, nel bel libro ‘Tutta la verità sui Pirati’, illustrato da Polja Plavinskaja.
La figura del pirata ha alimentato storie paurose e avventurose, ambientate nei luoghi più esotici del mondo; e intorno alle vite di questi fuorilegge sono cresciute leggende che vivono tuttora.
Quello che svela questo libro ben illustrato e molto documentato è che in realtà molte delle cose che attribuiamo ai pirati in realtà non sono vere, complice la lettura de ‘L’Isola del Tesoro’ di Stevenson.
Predoni sono esistiti già nell’antichità, da quando il mar Mediterraneo è stato solcato da navi di mercanti; e nei secoli non sono mai mancate imbarcazioni pirata, che hanno allargato il loro raggio d’azione dalle coste europee a quelle africane, asiatiche, americane.
Quanto ai miti sfatati, cominciamo dal più clamoroso: la bandiera nera col teschio, chiamata il Jolly Roger, non era il vessillo universale della pirateria, ogni ciurma aveva il suo, ovviamente inquietante il necessario. Spesso le navi pirata non erano grandi e armate oltre ogni limite: più importante era la velocità e la destrezza della ciurma, che navigava, si può ben dire, con strumenti approssimativi.
Non tutti i pirati erano nemici dell’ordine costituito: i corsari erano al soldo di Re e Regine, nel fare la guerra ‘sporca’ ai concorrenti commerciali.
La vita di bordo era decisamente difficile: era facile morire per le ferite mal curate, per le infezioni portate dai ratti, per la pessima alimentazione; l’accurata descrizione degli strumenti di bordo, dei farmaci che spesso si riducevano all’alcol nelle sue varie forme, all’alimentazione povera di vitamine smonta l’immagine ‘eroica’ del pirata, che tutto sopportava per vedere almeno, alla fine, la distribuzione equa del bottino. Parliamo poi di tesori: le cronache raccontano dei lasciti dei pirati più famosi, che hanno pensato bene di nascondere i loro beni in luoghi talmente inaccessibili che tuttora non sono stati trovati.
La pirateria era cosa da uomini, con le dovute eccezioni: la francese Jeanne de Belleville, l’irlandese Grace O’Malley, la cinese Zhèng Shì, che, come sappiamo, ha ispirato il romanzo di Morosinotto, ‘La più grande’.
Un altro mito da sfatare è quello dell’onnipresente pappagallo appollaiato sulla spalla del pirata. In realtà pappagalli, e altri volatili, erano merce facile da mantenere in vita per essere venduta sulla terraferma.
In sintesi, l’immagine della pirateria attraverso i secoli perde un po’ del suo fascino, ma acquista molto in realismo, dando una ricostruzione attendibile non solo della vita dei fuorilegge, ma anche delle tecniche della navigazione, dei conflitti commerciali, delle armi, dei farmaci, degli stili di vita dei marinai.
Una ricostruzione storica affascinante e attendibile allo stesso tempo, con la preziosa revisione specialistica. Rappresenta anche uno sguardo sul presente, dato che la pirateria non è affatto finita e continua a entrare nelle cronache anche belliche.
Consiglio caldamente la lettura di questo bel libro illustrato sia a chi è attratto dalle avventure marinare sia a chi è interessato alla ricostruzione storica della vita nei secoli passati; può essere letto a partire dai sette anni, ma anche i più grandi troveranno notizie e osservazioni interessanti.

Eleonora

“Tutta la verità sui pirati”, E. Stepanenko, ill. P. Plavinskaja, trad. T. Pepe, Caissa Italia 2024





mercoledì 17 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TUTTI DRITTI A UNA FESTA!

Una coda per Nisse, Eva Jacobson (trad. Giola Spairani) 
Iperborea 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Gli è caduta la coda, dice Hasse. 
Dove? chiede il dottore. 
Non lo sa, dice Hasse, Quindi ne vorrebbe una nuova. Lei che code ha? 
Eh, dice il dottore, io di code non ne ho. 
Sì, ma, dice Hasse, qualcosa ce l'avrà pure! 
Della corda? Un calzino? Una cravatta? chiede il dottore. 
Ma sì, tu cosa dici, Nisse? chiede Hasse. 
Che cos'è una cravatta? vuole sapere Nisse. 
Una cosa che ci mettiamo per essere eleganti, dice il dottore. 
Allora prendiamo la cravatta, dice Hasse." 

Con ogni evidenza Hasse e Nisse sono amici (qualcuno potrebbe pensare anche fratelli). E insieme hanno in progetto di andare a una festa. E mentre ci stanno andando Hasse si accorge che Nisse ha perso la coda. 


La cercano un po' in giro senza successo quindi vanno dal dottore che attacca al fondo schiena di Nisse una elegante cravatta. Sulla via per la festa, ostentando la bella cravatta che adesso sembra addirittura uno strascico, incontrano la maialina che, seduta sotto un albero, 'indossa' la coda di Nisse. L'ha trovata e quindi adesso la considera sua. Si litiga un po' - in verità solo Hasse e lei - fino a che la maialina la restituisce in cambio di un po' di sensi di colpa che cerca di far venire a quei due. 
Cambio per cambio, loro non si fanno venire i sensi di colpa ma le regalano la cravatta che lei prontamente indossa come fosse una bandana. 
E tutti e tre vanno alla festa per mano: chi con la coda riconquistata, chi con una cravatta in testa e chi convinto di essere il capo e di aver saputo gestire la difficoltà al meglio... 

Se letta con testa svagata, Una coda per Nisse, potrebbe sembrare quello che proprio non è: poca cosa. Che cosa c'è di tanto straordinario in una storia che racconta di perdere una coda, metterne una posticcia e poi ritrovarla e ripartire da qui per andare a una festa? 
Almeno tre cose: 
1) i protagonisti 
2) il precipizio dell'assurdo 
3) la velocità con cui ci si cade dentro 
Partiamo dai protagonisti. 
Sono quattro di cui due, maialina e dottore, li si potrebbe definire caratteristi, poco più che comparse. 
Il dottore è un pragmatico, onnisciente, risolutivo ed economico. Quattro doti che tutti noi vorremmo avessero i medici che frequentiamo.
 

La maialina è anche lei piuttosto tipica: una di quelle creature che hanno il dono di far sentire gli altri colpevoli, ancora prima di aver mosso un dito. Sanno piangere su se stessi, per distogliere gli interlocutori dal nocciolo della questione (ne ho incontrate diverse di maialine così). 
Nella fattispecie, lei dimostra di avere una concezione della proprietà piuttosto estesa, per cui se trova una coda perduta, non pensa di cercare il legittimo proprietario per riportargliela, al contrario la indossa e la considera cosa sua. E quando viene scoperta e non ha argomenti di difesa decide di contrattaccare e, spiagnucolando, far venire i sensi di colpa al legittimo proprietario della coda medesima, Nisse appunto, e al suo 'manager', Hasse. 
Ecco, Hasse. L'assoluto mattatore di questa storia: quello che dice, fa, briga, gestisce la vita del suo incerto amico. A tal punto Hasse è la mente della coppia che parrebbe che con Nisse ci sia una qualche parentela: fratello maggiore dal grande carisma? Il che spiegherebbe la lieve, quasi impercettibile, differenza di altezza e robustezza tra i due...


Di fatto è lui che muove tutte le sfere celesti: si accorge della coda sparita, si preoccupa, cerca di ritrovarla, cerca un rimedio migliore, argomenta con il dottore, detta i tempi e il ritmo dell'incedere per arrivare alla festa, discute con la maialina, la contrasta, la blandisce e con lei parrebbe stabilire forse anche termini dello scambio... 
Nel suo cono d'ombra c'è Nisse che è l'incertezza fatta e finita. Vive in una dimensione sempre un po' nebulosa, si fa consigliare e non sa mai bene cosa gli riservi il futuro: Come faccio a saperlo? 
Secondo aspetto: il precipizio dell'assurdo è lì davanti agli occhi di tutti. 
Perdere la coda, come se niente fosse, non accorgersene nemmeno. Gironzolare a cercarla e pensare che possa essere quel tronco d'albero o il gambo di un fungo o una piuma strappata a un uccello (che non ha gradito) e quindi decidere di andare dal dottore per trovare la soluzione, che a sua volta è altrettanto inverosimile: corda, calzino o cravatta? Riaverla in un batter d'occhio - attaccata con ago e filo, come potrebbe accadere a un pupazzo? Ma Eva Jacobson che mondo ci sta facendo vedere, in questa sua prospettiva spesso a volo d'uccello? 
E ultima ma non ultima arriva la terza bellezza che è la velocità con cui tutto procede. 
Lettura ad alta voce per eccellenza: una festa!


Si va di gran fretta: praticamente solo dialoghi (in un bell'italiano parlato), un fraseggiare che lascia indietro addirittura le virgolette. Non c'è il tempo per prendere fiato e ogni cosa accade in modalità accelerata. Unica accortezza è quella di dire chi dice cosa. 
Veloce è anche il disegno, matita per dare espressioni, per costruire piccoli gesti significativi, fare scarpette, fiorellini tutti uguali, fili d'erba, sassolini e 'occhi' sui tronchi di betulla. I contesti sono ridotti all'essenziale e gli oggetti si adeguano. 
Bumburubumbumbum si attraversa rotolando una allegra sequenza di assurdità, tipica modalità di pensiero di un bambino o di una bambina nella media: vietato fermarsi, o rallentare a pensare o a obiettare.


Stiamo andando tutti dritti a una festa! 

Carla

lunedì 15 aprile 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

LUPI ITALIANI

Finanziato dal progetto europeo Life Wolfalps Eu, esce il bel libro dedicato ai lupi, ‘I lupi delle Alpi’, scritto da Laura Scillitani, con le illustrazioni di Irene Penazzi e la revisione scientifica di Francesca Marucco. L’editore è Editoriale Scienza, che, come sempre, propone libri di grande rigore e attendibilità.
In Fiera di libri di divulgazione ne ho visti diversi: belli, affascinanti, intriganti, divertenti, talvolta anche superficiali e poco curati. Ne parlerò nelle prossime settimane. ‘I lupi delle Alpi’ è un bel libro, preciso nella descrizione del lupo e del suo habitat alpino; è un bel libro anche perché affronta la questione più spinosa, quella della coabitazione fra umani e selvatici, con il giusto equilibrio, respingendo un approccio romantico, e mistificatorio, a uno degli animali più affascinanti e, nello stesso tempo, coinvolgendo il giovane lettore e la giovane lettrice in una prospettiva di nuova convivenza fra natura selvatica e uomo.
Il libro, ampiamente illustrato, descrive le caratteristiche biologiche e comportamentali del lupo; in particolare sottolinea la struttura sociale a base familiare. Ogni branco, infatti, è costituito da una coppia di riproduttori e dai loro figli; il branco non diviene mai troppo numeroso e i giovani adulti sono via via indotti ad allontanarsi dal branco. Questo momento, detto della dispersione, è il più pericoloso per i giovani lupi, che devono affrontare percorsi accidentati fra strade, città, fiumi, terreni coltivati e così via. Quando incontrano un altro individuo isolato, di sesso opposto, possono formare un nuovo branco. Ed è proprio questa la storia di una coppia di lupi divenuta celebre: Slavc, maschio proveniente dalla Slovenia, e Giulietta, lupa italiana nella zona dei Monti Lessini.
La loro è una bella storia, sono rimasti insieme una decina d’anni, dando vita a ben quarantadue cuccioli che speriamo popolino ancora la zona delle Alpi Venete (alla faccia di cacciatori e amministrazioni locali ostili).
Questo infatti è un altro tema scottante: nonostante l’espansione del lupo sia un fenomeno naturale, in molti nel Nord Italia sostengono che debba cessare le legislazione a protezione del lupo, rendendolo di nuovo cacciabile.
Fra interessi economici reali, soprattutto di allevatori, e pressioni di una delle lobby più potenti d’Italia, quella dei cacciatori, il destino del lupo europeo è sempre appeso ad un filo.
Per questo progetti come quello che ha dato vita anche a questo libro, con il contenuto di informazione corretta e approfondita che lo distingue, sono indispensabili affinché non si facciano altri passi indietro nella conservazione di aree di natura selvatica e della fauna che le abita.
Per quanto sia difficile pensarlo nel prossimo futuro, la conservazione non può che passare dal rispetto della selvaticità, dal riconoscimento della alterità di ambienti e animali che non possono ridursi agli ambienti antropizzati.
Speriamo che le prossime generazioni, grazie anche a libri come questo, facciano tesoro di questa consapevolezza.
Consiglio caldamente la lettura di questo libro a bambini e bambine a partire dagli otto anni.

Eleonora

“I lupi delle Alpi”, l. Scillitani, ill. I. Penazzi, Editoriale Scienza 2024



venerdì 12 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

AL CANTO DEL NEGRIN 

Al canto del gallo, Fabian Negrin, Mariachiara Di Giorgio 
Edizioni Corsare, 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Tra un re e quello successivo, trascorrevano anni in cui a regnare erano soltanto il caos e la confusione, la rovina e lo scompiglio. 
Nell'attesa che i galli si mettessero d'accordo e annunciassero il nome del re, non c'era nessuno a ordinare la riparazione dei lampioni stradali o a deliberare la raccolta delle foglie secche che otturavano i fossati per lo scolo dell'acqua piovana, cosicché fango e sudiciume rendevano impraticabili le strade buie. 
I marciapiedi formicolavano di topi e topilavano di formiche che rosicchiavano la spazzatura che nessuno raccoglieva." 

Usanza strampalatissima quella di quel regno chissaddove in cui a ogni morte di sovrano erano i galli - non uno ma tutti all'unisono - a decretare il nome dell'erede al trono. 
Le possibilità che si accordassero per cantare lo stesso nome era bassina, vicina allo zero. E infatti per lunghi periodi, senza governo, tutto andava a scatafascio: lupi e tigri si aggiravano indisturbati per le strade. 
Il cattivo odore penetrava fin nelle case, non c'era legna per far fuoco, nei campi le coltivazioni marcivano e le scimmie si nutrivano indisturbate di mango e guanabana, mentre i malati non li curava più nessuno perché medici e infermieri non ricevevano stipendio da mesi e quindi scioperavano... 
Quando questa terribile situazione stava per raggiungere il suo estremo, allora qualcuno invocava per sé la corona, giurando al mondo di aver sentito chiaramente cantare i galli il suo nome, fosse Roberto o Carlo poco importa. Nascevano così le fazioni dell'uno e quelle dell'altro che se le davano di santa ragione fino ad arrivare alle armi pesanti, persino la dinamite! E alla fine uno dei due cedeva e l'altro governava su un popolo decimato. 


E così per qualche tempo tutto si rimetteva a posto. Si ripulivano le strade del regno, la gente tornava a lavorare, i malati guarivano, i campi erano di nuovo rigogliosi, le lavandaie sbiancavano nuovamente le tovaglie da mettere in tavola e i fornai rifacevano il pane da metterci sopra. Ma durava finché il sovrano restava in vita. E poi tutto ricominciava come prima... 
No, quando morì Carloberto I qualcosa effettivamente cambiò. 

Negrin alle tastiere e Di Giorgio ai pennelli, su uno stesso libro. Ah, beh beh... parecchio interessante.
Andiamo in ordine di altezza e partiamo da Fabian Negrin che scrive un testo che molto gli corrisponde: una buona idea di partenza, una bella metafora che tutto contiene, un bel gusto per il crescendo, il suo senso dell'ironia, il divertimento nel giocare con le parole, una punzecchiatina politica, un trionfatore finale, scelto nella categoria umana che lui preferisce. Di più non si può dire... 
Di rado, forse un'unica volta, Negrin ha affidato i suoi testi a illustratori che non fossero lui medesimo. Questo perché è un assoluto maestro nell'intrecciare alla perfezione le due lingue che conosce e parla a meraviglia: la scrittura e il disegno. Concepite in un'unica testa, anche con toni tra loro molto diversi, le due lingue si sono sempre molto ben armonizzate tra loro. E i risultati tutti li conoscono. 
I suoi testi illustrati da altri, a quel che mi consta, compaiono solo ne Il mondo invisibile e altri racconti, uno dei più bei libri di sempre. 


Qui accade di nuovo. La ragioni potrebbero essere varie: troppo lavoro e poco tempo, oppure la voglia di mettersi alla prova nel non fare quello che ha sempre fatto, oppure una richiesta di maggiore novità da parte dell'editrice, oppure ancora potrebbe essere un gesto simbolico per dare 'ufficialmente' merito a un talento. Un talento, quello di Mariachiara Di Giorgio, che libro dopo libro, da qualche anno si andato consolidando un bel po'. Una sorta di incoronazione (!), cresima, attestato... alla sua incontestata bravura. Come se ce ne fosse bisogno. 
Siano quali siano le ragioni che hanno portato Al canto del gallo a essere quello che è, poco importa. La cosa che appare evidente è che entrambi si sono presi il loro rispettivo spazio per dire e per divertirsi. 
Il dire: entrambi hanno detto tanto. 
Da un lato un testo che ha la cadenza della fiaba e come questa necessita di un respiro maggiore rispetto al discorso asciutto di un albo, un testo che ha voglia di dire qualcosa sul malgoverno. 


Dall'altra le figure di chi ha una gran voglia di disegnare il più possibile. Di riempire lo sguardo dei lettori con immagini anche molto diverse tra loro: scene di giorno, di notte, tavole grandi e dettagli minuti, soluzioni curiose, adulti e bambini, animali -topi grandi e tigri medie- ricchi e poveri, gente che corre e ragazzini che si squadrano, scorci di architetture.


Persino i riflessi nelle pozzanghere si riempiono di figure e dicono cose. 
Il divertirsi: entrambi si sono tolti il gusto di giocare. Il proverbiale 'sense of humor latino americano', altro che inglese, di Fabian Negrin è uno dei suoi marchi di fabbrica. Come mi è capitato di notare altrove, la circostanza che l'italiano non sia la sua lingua madre, sebbene lo parli meglio di molti autoctoni, gli permette di vedere nelle parole "ironie" su cui gli italiani passano noncuranti: i marciapiedi che formicolano di topi e topilano di formiche, è esemplare. 
Si è divertito nella capriola del finale, si è divertito a privilegiare i non privilegiati, e a far trionfare chi storicamente non trionfa mai, si è divertito a esagerare sempre tutto almeno un po' e sempre un po' di più, si è divertito nel trovare le ricercatezze della lingua delle fiabe... 
E Mariachiara Di Giorgio, invece di trovare una voce unica, si è divertita a trovarne cento diverse. Ha giocato spesso e volentieri con le possibilità che il testo le dava, ma si è anche divertita a dire a modo suo quel che il testo tace. E a giocare tra le ombre dei secondi piani e la nettezza del primo piano: dietro una battaglia all'ultima padella, davanti un ragazzino e una ragazzina con lo sguardo da OK Corral. Si è tolta il gusto di disegnare tutto il movimento possibile: dalle pozzanghere ai pennuti, dalle tovaglie al vento alla gente che va e viene. 
Si è divertita con il buio e l'ombra e con la luce e anche con la luce nel buio e la luce nella luce, mostrando quanto è in grado di fare. 


E poi mi pare si sia divertita a citare i grandi maestri del passato e anche un po' se stessa, per esempio in quel coccodrillo in fila per entrare a qualcosa di molto simile al pronto soccorso del Fatebenfratelli all'Isola Tiberina. E anche forse a scherzare con i lampioni e la luna e il suo suggestivo quanto improbabile riflesso... 
Ma si sa, i giochi con la luna li hanno fatti i più grandi (Sendak rules). 

Carla

mercoledì 10 aprile 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

OTTOBRE


Questo è il nome proprio di una ragazzina cresciuta dal padre in un bosco nelle vicinanze di Londra. La scelta di vivere ai margini, nel senso letterale e geografico, del mondo civile è all’inizio condivisa dalla madre, che però, dopo quattro anni, decide di tornare a Londra.
La vita di Ottobre, il cui nome viene spesso declinato due volte, quasi in una invocazione, è naturalmente più selvaggia e avventurosa di quanto non possa essere quella di un bambino o una bambina cresciuti in città. Pochissime comodità, molte sane abitudini, moltissimo lavoro, per tenere il bosco ‘in ordine’, e molta fantasia: il personaggio centrale di ‘Ottobre, Ottobre’, scritto da Katya Balen e pubblicato nel 2023 da Einaudi Ragazzi, sostituisce la tecnologia, che nella casa nel bosco è ridotta al minimo, con la cura degli alberi e con l’invenzione di infinite storie, che poi racconta al padre. Storie che partono dagli oggetti che via via ritrova fra sassi e foglie cadute e che costituiscono il suo tesoro segreto. Due eventi segnano la sua vita a ridosso del suo undicesimo compleanno: il ritrovamento di un pulcino di barbagianni, che lei accoglie e cerca di salvare, per poi doversene separare, e l’incidente che inchioda il padre in ospedale per mesi. Questo è il punto nodale in cui il destino della ‘selvaggia’ Ottobre si ribalta: è costretta ad affidare il suo piccolo barbagianni, chiamato Stig, a un centro di recupero di animali selvatici, e ad andare a vivere con la madre, detestata, nella ostile e grigia Londra.
Per Ottobre tutto è nuovo: la casa riscaldata dai termosifoni, la scuola, la divisa scolastica, le ruvide amicizie che nonostante tutto riesce a costruirsi, soprattutto dal momento in cui coinvolge l’amico del cuore Yunus a cercare oggetti smarriti, o abbandonati, lungo le rive limacciose del Tamigi, ritrovando un po’ della selvaticità perduta.
Il suo futuro non è però nella grande metropoli; sarà costretta a vivere la sua duplice natura, cercando di conciliarne gli aspetti più singolari.
‘Ottobre, Ottobre’ è un romanzo imperfetto, e questo non è necessariamente un peccato capitale. Il suo punto di forza sta nel descrivere efficacemente quell’aspirazione ad una intensa connessione con la natura che molti, soprattutto adulti, fantasticano; il personaggio di Ottobre non può che ispirare simpatia per la sua ruvidezza e per l’ostilità a tutte le regole del cosiddetto vivere civile; è una ragazzina fondamentalmente libera, che indirizza la sua fervida immaginazione nel costruire storie fantastiche. Non si tratta, come si potrebbe pensare, di una bambina priva di qualsiasi istruzione: si fa i maglioni da sola, ma legge molti libri e sa calcolare con precisione quanta terra ci vuole per coltivare le patate. Di conseguenza, l’impatto con il mondo ‘civilizzato’ della scuola londinese che è costretta a frequentare non è poi così duro.
Quanto questo sia credibile non saprei dire: in realtà le molteplici attività che portano avanti padre e figlia fanno pensare a una natura molto addomesticata; il bosco in cui vivono, descritto come luogo di battaglie epocali fra i vari alberi, con buona pace di Stefano Mancuso, rappresenta più che altro uno sfondo per le vicende umane della famiglia di Ottobre. Più che il rapporto con la natura, sembra contare la lontananza dalla metropoli e dalle sue nevrosi.
Un altro punto di forza è il linguaggio spesso poetico che coinvolge lettrici e lettori in una dimensione emotiva.
Infine, il punto dolente della continua confusione terminologica relativa alla piccola Stig: nel testo viene usato alternativamente il termine ‘gufo’ e il termine ‘barbagianni’, cosa che può sconcertare il lettore, considerando la rilevanza che il personaggio riveste. Che si tratti di un barbagianni è fuori dubbio, considerate anche le immagini di Angela Harding. Credo che la traduttrice, Lucia Feoli, sia stata disorientata dal termine inglese owl, che indica genericamente gufi e civette: lo stesso barbagianni è chiamato barn owl. Immagino che l’autrice abbia usato più del dovuto il termine generico, che in italiano non esiste.
Detto questo, credo si possa dire che il romanzo può essere una lettura piacevole e coinvolgente per ragazzi e ragazze a partire dagli undici anni.

Eleonora

“Ottobre, Ottobre”, K. Balen, ill. A. Harding, Einaudi Ragazzi 2023



lunedì 8 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DI STORIE E DI PANE 

Misha. Io, i miei tre fratelli e un coniglio
Edward Van de Vendel, Anoush Elman, Annet Schaap 
(trad. Laura Pignatti) 
Sinnos 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dagli 8 anni) 

"Quando c’è da risolvere qualcosa, papà dice sempre: 'Lasciamo che Hamayun sia la nostra bocca'. Hamayun spiegò perché eravamo lì, e la ragazza disse: 'Certo che abbiamo dei coniglietti. Sono qui dietro. Venite, ma fate attenzione... uno alla volta...'. 
La seguimmo tutti quanti pian piano, in un ambiente stretto nel quale si sentiva odore di pelliccia calda. La ragazza disse: 'Qui ci sono diversi coni...'. Ma io guardai e puntai il dito ed esclamai: 'QUELLO!' . Era un coniglietto nano. Appena eravamo entrati nel negozio, lui si era sollevato sulle zampe posteriori. Sembrava che pensasse: 'Ehi!'. E anch’io pensai: 'Ehi!'. Ma subito dopo pensai 'Sìììì!', perché anche il coniglietto nano pensò: 'Sìììì!'. 
Lo potevo vedere e sentire nella mia testa. E un’altra cosa che sentii nella mia testa era il suo nome. 
Lo comprammo, e io lo presi in braccio, Hamayun pagò, e quando fummo fuori dissi ai miei fratelli: 'Misha'. 'Si chiama così?', domandarono. 'Sì', dissi io. 
E loro dissero: 'Oh'". 

Roya, la bambina che non piange mai, e i suoi tre fratelli più grandi sono in un negozio di animali perché il desiderio della piccola di casa per festeggiare l'arrivo in un appartamento tutto loro è quella di avere un animale da compagnia: un coniglio, piccolo e bianco. 
Così Misha arriva a casa. 


La bambina è la sua custode, ma in verità tutti in casa se ne prendono cura e lo considerano uno di famiglia. Hamayun per esempio è maestro di carezze e insegna agli altri che a Misha non piace essere toccato intorno alla bocca, mentre Navid cerca senza successo di insegnargli a battere il cinque. Alla mamma invece, in segno di affetto, Misha fa pipì sulla pancia e con Bashir si rifiuta di fare il bagno. Con il papà, invece, sgranocchia insalata fresca, perché a lui le carote non piacciono proprio. 
Questa è la storia di una famiglia fuggita dall'Afghanistan che, arrivata in Olanda, dopo un lungo viaggio pericoloso durato sei mesi, dopo le tante richieste e gli altrettanto numerosi rifiuti da parte del governo, dopo essere passata per diversi centri di accoglienza e aver vissuto nell'assoluta incertezza e precarietà, dopo essersi spostata mille volte da un luogo all'altro, ora finalmente, dopo cinque anni di attesa, ha ottenuto il diritto di cittadinanza e può pensare ai giorni che verranno con la giusta tranquillità. E piangere, finalmente. 

Ci sono tre cose preliminari da dire: la prima è che Van de Vendel sa scrivere con una sua grazia inconfondibile (candidato all'H.C. Andersen 2024), che Anoush Elman ha una storia davvero importante da raccontare, che Annet Schaap non poteva fare meglio di come ha fatto nel dare aspetto agli 8 personaggi della storia (una famiglia di 6 persone, 1 coniglio nano e 1 vecchietta sospettosa). 


Forse ce n'è anche una quarta che va detta: questa storia cresce lenta, un po' come una pagnotta in forno: ha sempre del miracoloso guardare dal vetro e vedere che si dora e che il lievito sta facendo il suo lavoro. 
Anche in questa storia c'è una spinta interna che non si vede a occhio nudo, un lievito invisibile almeno fino 40 pagine dalla fine, che agisce in sordina e ti consegna qualcosa d'altro da ciò che era in partenza. Cos'era in partenza? Una storia vera e scomoda che sta lì per muovere le coscienze. 
La storia di una famiglia afghana scappata dalla propria terra e approdata in Olanda. Poi c'è la non risposta dell'Olanda, un silenzio che dura 5 anni, in cui la famiglia afghana subisce l'ingiustizia di essere un corpo estraneo in un paese straniero che non vuole prendersene cura. Poi c'è la soluzione: ossia un diritto di cittadinanza e finalmente la sensazione di trovarsi in sicurezza per queste persone. 
Tutto questo è il punto di partenza, che ha il merito di essere una storia vera: quella di Anoush Elman e della sua famiglia. 
Il lievito di questa storia sta proprio in questo suo essere vera e capace di diventare tangibile. 


Dimostra di avere una potenzialità - qui parliamo di strumenti letterari - che le dà modo di raggiungere una sua tridimensionalità, un suo spessore umano diverso dalla piattezza di quello che si sente raccontare in modo sempre più generico e che, appunto, livella tutte le singole storie di migranti in una unica grande narrazione che li contiene tutti ma che non è di nessuno in particolare. Insomma un racconto onnicomprensivo che nessuno ascolta più veramente. 
Il lievito che fa crescere questa storia e la fa diventare pane, non so quanto di vero e quanto di inventato ci sia, sta proprio i quei corpi veri (Annet Schaap, ritrattista d'eccezione) che si muovono attraverso spazio e tempo, nelle teste ragionanti e nelle anime di queste otto persone (ci metto anche il coniglio) e, in particolare, nei loro rapporti interpersonali.


Per capirci: sembra che partano come personaggi, mentre invece, cammin facendo, diventano persone a cui inevitabilmente ci si affeziona perché, a furia di sentirli e guardarli, sono oramai gente di famiglia anche per chi li ha 'solo' letti. 
Conquista quel loro modo naturale di fare squadra, di volersi bene - sarebbe stato ben complicato attraversare ciò che hanno attraversato, senza potervi ricorrere. Piace quella loro attitudine a dire sempre come stanno le cose, anche se difficili da raccontare. Piace il loro modo di saper vedere sempre il lato migliore delle circostanze. Si invidia quella loro attitudine a essere gentili - e non è vero che solo Hamayun lo sappia fare...  Quel loro innato rispetto reciproco... Si apprezza quel  naturale modo che hanno di lasciare spazio alle emozioni - proprie e degli altri - quando arrivano a galla. 


E anche, non ultimo, è tanto bello il loro modo di voler bene a un coniglio. 

Carla

giovedì 4 aprile 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

OMAGGIO A POE

Ha un incipit da manuale ‘The Folio Club’, che Guido Sgardoli firma per i tipi della De Agostini:
siamo palesemente messi di fronte alla scena di un delitto, di cui non solo non si conosce il colpevole, ma nemmeno la vittima. Entriamo così immediatamente nell’atmosfera del mistery, con una galleria di personaggi ambigui e un’ambientazione cupa e nebbiosa quanto basta per far sprofondare lettrici e lettori nell’inquietudine.
Siamo in Svizzera, sulle sponde di un lago dalle acque oscure, in un collegio esclusivo per rampolli di famiglie altolocate; a raccontarci la storia è il protagonista, Niccolò, arrivato in quella scuola dopo l’ultima espulsione da un altro istituto. Adolescente più che benestante, con genitori tanto importanti quanto assenti, dedito alle risse e poco incline allo studio. Sbarca al Trinity Lyceum come ultima spiaggia del suo accidentato percorso scolastico, anche perché Jacopo, un suo amico, è alunno di tale struttura. Quello che colpisce subito il nuovo arrivato è la presenza di un club esclusivo, il Folio Club, di cui Jacopo fa parte, creato da alcuni ragazzi e ragazze, capeggiati da un certo Duccio, in arte Byron. Ogni partecipante ha un nome segreto, ispirato al mondo letterario e in particolare a Edgar Allan Poe.
Tutto il romanzo ruota intorno al rapporto fra Niccolò e Duccio, un vero potente antieroe, affascinante, perverso e ambiguo, mentre il nostro protagonista è un personaggio più fragile, attratto e respinto nello stesso tempo dalle atmosfere gotiche di questo club esclusivo. Le loro serate clandestine prevedono ‘sballi’ da alcol e stupefacenti, ma non escludono duelli all’arma bianca e occasionalmente furti nelle chiese. Gli adepti di Byron, fra cui spicca Elena-Ligeia, di cui Duccio s’innamora, sono dieci, perché l’undicesimo è morto suicida. Per questo, e per affermare il proprio potere sul gruppo, Duccio vuole convincere Niccolò a farvi parte.
In un gioco di seduzione e di ricatti, in cui è coinvolto anche l’amico Jacopo, i due ragazzi si attraggono e si respingono, fino a una notte fatale in cui Duccio scompare.
Niccolò e altri ragazzi cominciano a indagare, mentre emergono gli aspetti più oscuri, e più squallidi, della vita di Byron, dedito al gioco e pieno di debiti.
Il suo potere di manipolazione prosegue anche dopo la sua scomparsa e i partecipanti del gruppo sono poco inclini a raccontare i segreti che condividono. La verità emergerà faticosamente e dolorosamente, mettendo a nudo fragilità e debolezze di ciascuno.
Si tratta, infatti, di adolescenti con le tipiche incertezze dell’età, con la ricerca del rischio, il piacere della sfida che li accomuna tutti; ‘superare i limiti’, sine fine sumus, sembra essere un patto programmatico, che qui prende corpo con eccessi conditi di citazioni in latino e del culto di Poe.
Le atmosfere notturne e nebbiose del romanzo riflettono perfettamente il senso di pericolo che si insinua nei lettori. I riferimenti al Maestro dell’horror sono tanti e voluti, a partire dal titolo stesso; perfino il punch and honey, di cui si inebriano gli adepti del club, è ripreso dalla vita dell’autore americano.
Non tutti coglieranno l’accuratezza delle citazioni e la raffinatezza dello stile di Sgardoli; in ogni caso, consiglio caldamente questa lettura, dotta e conturbante allo stesso tempo, a lettrici e lettori attratti dalle atmosfere gotiche, a partire dai quattordici anni.

Eleonora

“The Folio Club”, G. Sgardoli, De Agostini 2024





martedì 2 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

CALZANTI E DIVERTENTI 

Parenti serpenti, Teresa Porcella, Roberta Balestrucci, Marianna Balducci 
Rizzoli 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"CONSULENTI 
Sono i parenti con cui parlare 
c’è una ragione: sanno ascoltare! 

Detti anche “confidenti”. Sono quelli con cui parliamo ogni volta che abbiamo un problema assillante, un segreto ingombrante, una gioia debordante. Possiamo definirli i “parenti-amici”, perché li scegliamo a prescindere dal ruolo che rivestono nei nostri confronti. Appartengono alle più diverse categorie parentali: genitori, nonni o nonne, fratelli o sorelle, cugini e cugine, zii o zie, ma anche figli, figlie o nipoti. 
Hanno alcune caratteristiche fondamentali: 1. non ti dicono mai che cosa devi fare; 2. sanno ascoltare così bene che, a volte, fanno solo quello e non aprono bocca. Al limite ti danno un abbraccio." 

Racconto sconosciuto. Davanti a una nonna sorridente e annuente un ragazzino si sfoga. Non può farlo con nessun altro, perché tutti in famiglia vogliono che lui partecipi (e magari anche vinca) la gara di cucina a cui madre e padre lo hanno iscritto. Davanti a sua nonna, che lo guarda in alcuni momenti con lo sguardo lontano, lui riesce a dire le sue ragioni e a mettere in ordine le idee e quindi trovare la forza di opporsi: "non farò la gara di cucina cui mi hanno iscritto i miei, e non perché non so cucinare, o perché sono maschio. No. È che cucinare solo per gareggiare a me non piace: punto." 
Chi meglio di lei può capirlo, visto che è lei la sua maestra tra i fornelli. Lei gli ha insegnato che cucinare è un divertimento per se stessi e un piacere da condividere con le persone a cui vuoi bene: un regalo da mettere sulla tavola per gli amici. I giudici di un concorso culinario sono tutto tranne che amici... quindi Matteo farà come le ha sempre suggerito la nonna. Se non ci fosse lei, che lo ascolta. Lei lo ascolta e lo capisce, al di là della sordità e della demenza senile, diagnosticata dal medico. Matteo ne è certo. 

Il rigoroso catalogo, in ordine alfabetico e a tratti in rima, mette ordine fra le differenti categorie di parenti e si organizza con una precisione millimetrica come segue: 
illustrazione -a collage, strappi e foto- nella pagina di sinistra in cui la lettera dell'alfabeto, grazie alla sua forma, si colloca in un contesto più complesso. 
Per esempio la C di Consulenti diventa la grande bocca spalancata di un parente esperto che, se consultato, dispensa consigli saggi e a ragion veduta (questa è l'area di competenza di Marianna Balducci).


Sulla pagina di destra, invece, parte il testo: la grande lettera-guida sotto cui compare la definizione, ossia gli aggettivi (ovvero spesso è la forma aggettivale di un participio presente) che necessariamente devono fare rima con la parola parenti. Segue un distico che introduce la questione e mette di buon umore il lettore, per ironia spesso pungente, di norma centrando appieno la categoria umana cui vuole riferirsi. 
A seguire c'è il c.d. caso sconosciuto, ossia un breve racconto che dà corpo alla tipologia del parente presa in esame. Di norma seguono il tipo di sguardo preannunciato nel distico: sono ironici, talvolta amari, ma sempre piuttosto calzanti e quindi autentici (direi che questa è l'area di competenza di Teresa Porcella). 


Dopo di loro viene il "caso famoso": un boxino concepito anche nel suo design ad hoc che mette a fuoco personaggi reali o della finzione - dal cinema alla letteratura - che in qualche misura, con un piccolo scarto di prospettiva interessante, mettono a fuoco un altro esempio di persona che in quell'aggettivo possa essere riconosciuta da tutti. Nel nostro caso di specie, i parenti consulenti, fa bella mostra di sé Atticus Finch (questa è l'area di competenza di Roberta Balestrucci, se non erro). 
Va da sé che le tre aree di competenza non solo si toccano, ma si incastrano bene l'una dentro l'altra, cosa che fa pensare che le tre teste non abbiano mai lavorato troppo in solitudine, cioè senza sentire il bisogno di chiacchierarne assieme, di scambiarsi idee, di confrontarsi per ottenere il meglio per il libro nella sua completezza. 
Tutte e tre le autrici condividono il senso ultimo del progetto, come pure lo sguardo divertito che hanno nel raccontarlo, con tre linguaggi diversi, ma accordati tra loro. 


Ecco. Qui c'è forse il primo merito di Parenti serpenti, in questa regolare e molto armonica cadenza, un passo da montanare (nonostante le loro orgini), che va avanti per 21 volte con 21 diverse tipologie di parenti: quando una delle tre rallenta le altre due la prendono per mano e la tirano in avanti, con l'intento di arrivare insieme in cima: a libro ben fatto. 
Per due motivi non posso essere totalmente obiettiva nel ragionare su questo libro. Il primo è la mia conclamata passione per tutto ciò che ha il fine di mettere insieme, di mettere in sequenza, possibilmente secondo un criterio preciso (un ordine?) materie affini: i cataloghi. Trovo appassionanti detti criteri, il ragionamento che c'è dietro ogni scelta. Mi diverte l'elenco, mi dà un brivido la "vertigine della lista", ma è storia nota. Quindi questo libro, se non altro per struttura, mi si confa.


La seconda ragione che mi fa pendere da una parte è l'aver constatato e condiviso più volte lo sguardo di almeno due delle tre autrici. Ma mi pare di capire che anche la terza si allinei alla perfezione. Sono capaci di vedere di molta parte della vita il lato comico, l'ironia delle circostanze, dei fatti, delle cose, delle forme e persino degli oggetti. 
Di Teresa Porcella, in particolare, trovo apprezzabile la grande schiettezza nel dire il mondo, come pure il guizzo fulminante, iconico e icastico, che rende all'istante chiaro e visibile quello che fino a un minuto prima era nebbia. E non a caso i due versi che introducono ogni parente sono la forma cristallina di questo e l'oggetto mio preferito. Non credo di dover spiegare a nessuno che un tipo di espressione del genere ha molto a che fare con la poesia tout court


A parte tutto questo, esiste però anche un ulteriore motivo che rende interessante, oltre che piacevole, la lettura di Parenti serpenti: la sua intrinseca capacità (i cataloghi spesso la stimolano) di espandersi in direzioni ulteriori, una sorta di piccolo trampolino di lancio per ulteriori riflessioni, nuove liste personali che ogni lettore o lettrice potrà compilare per sé (non a caso, in coda al libro, tutti gli aggettivi in esubero non sono stati buttati via, ma invece sono lì a rilanciare il gioco). Anche perché diciamola tutta, sebbene il libro si focalizzi sulle relazioni umane in famiglia, non impedisce di alzare lo sguardo e ragionare in termini più generali di vizi e virtù dell'umana specie, anche fuori dai legami di parentela. 
A chiudere, come fosse un mio personale catalogo, metto in elenco una decina di piccole cose che mi sono piaciute, per ragioni diverse, più di altre. 
1- Il racconto I quaternari alla voce Bivalenti: un magnifico e pressoché unico caso di genetica che mi ha tenuto impegnata in ulteriori ricerche per una serata... 
2 - I Giacenti. Mi piace tutto: dall'illustrazione di apertura al boxino con le sorellastre. 
3 - Il boxino dedicato a Jessica Fletcher. In famiglia ne abbiamo un esempio che tra parenti si è guadagnata l'epiteto di signora Fletcher, non a caso. 
4 - I Latenti, la soluzione trovata per l'illustrazione: brava. 


5 - Il boxino dedicato a Gesù alla voce Nascenti. 
6 - L'illustrazione dei Prepotenti. 
7 - Il racconto E questa? che contiene un magnifico gioco fra nonno e nipote raccontato alla voce Quozienti. 
8 - L'illustrazione che apre la voce Redenti: un altro colpo di genio e il boxino dedicato all'Innominato, redento per eccellenza!
 

9 - I vincenti, mi piace per intero: una bella spinta di ottimismo, un po' di culo, un po' di esagerazione e una chiave di lettura dell'esistenza consigliabile. 
10 - Il titolo e il racconto alla voce Zampetenenti: Giorgio e Filippo. Chi ha cani, gatti o criceti e pesci rossi che non si chiamano con nomi di santi, saprà apprezzare. 

 Carla